La decisione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di rendere esecutivo il Jerusalem Embassy Act del 1995, che prevede il riconoscimento unilaterale di Gerusalemme quale capitale dello Stato d’Israele, rappresenta una scelta politica pericolosa le cui conseguenze possono provocare ulteriori violenze e destabilizzazioni nell’intera regione e nuove ondate di terrorismo su scala globale.
Occorre l’impegno di tutti per rispettare lo “status quo” di Gerusalemme, come ha ricordato anche Papa Francesco, perché città unica e sacra per le tre religioni monoteiste, città con una vocazione speciale alla pace. Gerusalemme in base al diritto internazionale è un territorio conteso, definito nel 1947 come “corpus separatum” dalle Nazioni Unite, successivamente diviso in due parti: la parte ovest annessa al nascente stato d’Israele e la parte est, araba, controllata dal Regno di Giordania. Nel 1967 Gerusalemme è conquistata da Israele con la Guerra dei sei giorni, quindi occupata ed amministrata de facto da Israele, nonostante le ripetute risoluzioni delle Nazioni Unite che ne esigono la liberazione. Con gli Accordi di Oslo del 1993, Gerusalemme rimane uno dei nodi irrisolti da affrontare nella parte finale degli Accordi: Palestinesi ed Israeliani considerano entrambi Gerusalemme come capitale della loro nazione.
Le rappresentanze diplomatiche accreditate in Israele hanno la loro sede a Tel Aviv, le rappresentanze diplomatiche che si rapportano con l’Autorità Nazionale Palestinese hanno sede nella città di Ramallah. Nessuno stato ha la propria Ambasciata a Gerusalemme, ove sono stabilite soltanto sedi consolari.
La decisione di spostare l’Ambasciata americana a Gerusalemme rompe il filo del delicato equilibrio di relazioni e di diplomazia che tiene ancora insieme la speranza di riattivare il negoziato tra le due parti, per un accordo di pace fondato sulla soluzione, politica e negoziata, dei due stati per i due popoli.
Con questa decisione l’amministrazione degli Stati Uniti rischia di offrire di fatto una nuova sponda alla radicalizzazione delle opposte posizioni che in questi anni hanno ostacolato con ogni mezzo l’applicazione degli Accordi di Oslo e le successive mediazioni, colpisce il diritto internazionale, unico strumento civile in grado di risolvere i conflitti tra stati e tra popoli e si sostituisce al ruolo del sistema multilaterale delle Nazioni Unite, applicando nuovamente una politica unilaterale, foriera di nuove tensioni e di ampliamento dei conflitti in una regione già profondamente provata. Le popolazioni palestinese ed israeliana sono abbandonate alla mercé della violenza e senza alcuna speranza di una soluzione di pace giusta e duratura.
Il sindacato confederale italiano ritiene necessaria ed urgente una rinnovata e determinata iniziativa diplomatica internazionale, che veda lo stesso Segretario Generale delle Nazioni Unite impegnato in prima persona, per riaprire il processo di pace tra Israele e Palestina, con la partecipazione attiva dei paesi confinanti, per l’affermazione dei due popoli e due stati e per una pace negoziata e duratura per l’intera regione medio-orientale.
Chiediamo al governo italiano, in qualità di membro non permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, di farsi promotore di questa proposta in sede ONU e avviare iniziative urgenti con l’Unione Europea quale impegno per la pace e per la sicurezza collettiva.
Cgil Cisl Uil
Roma, 9 dicembre 2017