Sfumato l’acquisto da parte di Jp Morgan, sindacati e lavoratori si mobilitano per salvare lo stabilimento Pernigotti di Novi Ligure a rischio chiusura
Ieri i sindacati, insieme a un gruppo di lavoratori, sono tornati davanti ai cancelli della fabbrica Pernigotti di Novi Ligure, in provincia di Alessandria, per una conferenza stampa all’aperto. Motivo della iniziativa: accendere i riflettori sulla situazione di stallo in cui versa l’azienda dopo la notizia del fallimento delle trattative per un possibile acquisto da parte della banca JP Morgan. I timori di Fai Cisl, Flaei Cgil, Uila Uil e dei circa 70 dipendenti per una chiusura definitiva della fabbrica novese sono più che fondati.
A preoccupare i sindacati è il silenzio, sempre più assordante, sulla vertenza e la mancata convocazione del tavolo da parte del Mise per parlare del piano industriale di rilancio che la proprietà turca dei fratelli Toksoz si era impegnato a presentare dopo l’incontro del 24 novembre a Roma.
“In questi mesi – spiega il segretario generale della Fai Cisl Alessandria – Asti, Enzo Medicina – era prevista una verifica sulle reali intenzioni della proprietà che invece non c’è mai stata. I lavoratori sono tutti in cassa integrazione e la produzione è ridotta ormai al lumicino con un appena 5 per cento. Non essendoci stati ulteriori sviluppi e tantomeno gli investimenti annunciati di 2,8 milioni di euro e con gli ammortizzatori sociali in scadenza a giugno, senza possibilità di essere prorogati, abbiamo deciso di mobilitarci. La situazione rischia di scappare di mano, con conseguenze nefaste per le persone che lavorano nello stabilimento”.
La situazione infatti, secondo i sindacati, è peggiorata rispetto a tre anni fa, quando tutto è iniziato, perché almeno allora lo stabilimento era produttivo, mentre oggi è completamente abbandonato al suo destino.
“Mesi fa ci è stato chiesto da parte del Mise di essere responsabili – evidenzia Medicina – per non vanificare la possibile ricerca di un partner commerciale o di un possibile acquirente e per il rilancio dello stabilimento attraverso la presentazione di un nuovo piano industriale. Ora tocca alla proprietà dire chiaramente che cosa intende fare e al Ministero per lo Sviluppo economico esigere risposte nette dalla proprietà a fronte della concessione della cassa integrazione per una riorganizzazione che non è mai avvenuta”.
Lunedì scorso sindacati e lavoratori hanno portato il caso della Pernigotti in una seduta del Consiglio comunale della cittadina alessandrina, dove ha sede da 162 anni lo stabilimento dolciario, incassando la solidarietà e l’impegno di tutti partiti di maggioranza e opposizione a smuovere le acque, chiedendo la riapertura del tavolo al Mise. Dure le accuse nei confronti dei fratelli Toksoz. Oltre ad aver accumulato perdite per circa milioni 20 di euro, secondo gli esponenti politici locali, la proprietà turca avrebbe venduto il comparto dei preparati per gelato che ora vengono prodotti altrove, mentre c’erano imprenditori disposti a produrli in loco e ceduto il magazzino di località Barbellotta, ritenuta un’area ideale per un nuovo stabilimento.
Una storia cominciata male, quella della Pernigotti, che potrebbe finire addirittura peggio. La palla passa ora al Mise, sapendo che giugno non è così lontano. Nessuno in questo posto a sud del Piemonte vorrebbe rivivere sulla propria pelle, anche se di dimensioni e motivazioni differenti, una storia simile alla ex Embraco di Riva di Chieri. (Da Conquiste del Lavoro del 26 /02/22)
Rocco Zagaria