Automotive, elettrodomestico, siderurgia e termomeccanica i settori più colpiti. Uliano (Fim): “Servono politiche industriali di sostegno alle transizioni”
Sono 103.451 i lavoratori metalmeccanici italiani coinvolti in processi di crisi aziendali. Il dato emerge dal recente Report della Fim Cisl nazionale sullo stato delle crisi nel settore metalmeccanico nel primo semestre 2024. Secondo la federazione delle tute blu della Cisl, che ha condotto l’indagine in 712 aziende, di cui 312 con più di 50 dipendenti e 400 con meno di 50 addetti, i lavoratori del settore interessati da crisi sono aumentati in sei mesi di 18.634 unità, passando dagli 88.817 del 31 dicembre 2023 ai 103.451 del 30 giugno di quest’anno.
Risultano più di 50 i tavoli di crisi aperti al Mimit. Tra le vertenze aperte ci sono aziende come Blutec, Firema, Jsw Piombino ex-Lucchini, Jabil, Softlab, ex-Ilva e Sider Alloys.
A livello territoriale, Lombardia, Emilia Romagna e Veneto, rispettivamente con 242, 158 e 65 casi segnalati sono le regioni che fanno registrare un aumento significativo di crisi rispetto al semestre precedente. Parliamo di tre regioni a forte vocazione industriale, in cui le difficoltà di grandi aziende coinvolte nelle transizioni (automotive, termomeccanica, elettrodomestico) si riverberano sulle realtà produttive medio piccole dell’indotto, che iniziano a dare segni di sofferenza. Proprio le piccole e medie imprese pagano il prezzo, a causa delle loro dimensioni, di una minore capacità di reazione nella ricerca di mercati e commesse e di una carenza di liquidità da investire nelle transizioni. Per la Fim, oltre agli aiuti pubblici servirebbe, specie per alcune aziende di filiere coinvolte nelle transizioni, un lavoro di concerto tra istituzioni, grandi multinazionali, sindacato e hub di ricerca (Università e Its) per gestire il passaggio a nuove produzioni dell’industria 5.0, oltre che l’utilizzo dell’Intelligenza artificiale come leva per il recupero dei gap competitivi e dimensionali.
“L’aumento sostanziale delle aziende in crisi nel settore metalmeccanico che registriamo in questo primo semestre 2024 – dichiara il segretario generale Fim, Ferdinando Uliano – ha prodotto un allargamento dei lavoratori che vivono situazioni di criticità. Ai tradizionali settori e casi irrisolti di crisi aziendali si sono aggiunti nel corso dei mesi fattori non direttamente legati all’industria, come l’incertezza sul futuro e le tensioni geopolitiche che, sommati alla fase di transizione green e digitale, determinano effetti negativi anche rispetto alla domanda. A queste si somma un quadro europeo complessivamente in brusca frenata, in particolare dell’industria metalmeccanica tedesca che aveva cominciato a dare i primi segnali negativi già a fine 2023”.
Degli oltre 103 mila lavoratori italiani coinvolti in processi di crisi, più di 77 mila sono interessati da crisi di settore, circa 5 mila da quelle dettate da motivi finanziari delle aziende, quasi 13 mila dalla crisi dovute all’indotto, un migliaio da processi di delocalizzazioni, quasi 4 mila dal conflitto tra Russia e Ucraina e più di 2 mila dalla mancanza di materie prime.
“L’industria metalmeccanica – conclude Uliano – rappresenta una grande leva di benessere economico per l’intero Paese, con grandi potenzialità e un dinamismo che però va accompagnato e sostenuto. Ci aspettiamo dal Governo un’azione più decisa per attrarre nel nostro Paese nuovi investimenti industriali”. (Da Conquiste del Lavoro del 3 luglio 2024)
Rocco Zagaria
Nonostante gli incentivi pubblici alla mobilità green, pari a 950 milioni di euro, nel settore automotive, che in Italia conta oltre 256 mila lavoratori, regna ancora molta incertezza, dettata soprattutto dal calo delle vendite. Dopo l’introduzione dei dazi in Europa sulle produzioni cinesi di veicoli elettrici, molti si aspettano, anche per effetto del recente voto europeo, un rinvio della decisione di porre fine alla produzione dei motori endotermici nel 2035. Questa situazione sta determinando incertezze e rinvii dell’acquisto da parte dei consumatori e pesanti ricadute che si traducono in ore di cassa integrazione sia sui siti produttivi che sull’indotto della componentistica del nostro Paese che resta tra i maggiori produttori ed esportatori in Europa.
Entro il mese di luglio, dopo oltre un anno di incontri e annunci, è previsto un vertice a Palazzo Chigi per la firma di un accordo di sviluppo del settore automotive per la produzione di 1 milione di veicoli nel nostro Paese entro il 2030. “L’accordo – spiega il numero uno della Fim nazionale, Ferdinando Uliano – dovrà prevedere responsabilità e impegni precisi tra Stellantis, aziende della componentistica, istituzioni e organizzazioni sindacali su tutti gli aspetti necessari a rafforzare il settore auto motive, a partire dagli aiuti per accompagnare la transizione verso la mobilità ecologica di tutta la filiera. Restano nel settore gravi ritardi sulla creazione di infrastrutture per la mobilità elettrica, a cui si sommano i costi dell’energia che, pur attenuati rispetto allo scorso anno, continuano a rappresentare un gap competitivo rispetto ad altre nazioni”.
Anche la siderurgia sconta un rallentamento della domanda d’acciaio e i costi dell’energia che restano di gran lunga superiori alla media europea. Ciò si riflette inevitabilmente sulle marginalità e i costi di produzione. Restano aperte nel settore siderurgico storiche vertenze come quella dell’ex-Ilva e della JSW di Piombino, mentre non si intravede una soluzione sulla vicenda Sider Alloy, l’ex-Alcoa di Portovesme che produceva alluminio primario, da anni ormai in stallo.
Una considerazione a parte merita il Gruppo ex-Ilva, oggi Acciaierie d’Italia, 10.700 lavoratori diretti e circa 20mila coinvolti tra appalti e forniture, una vertenza storica che dopo il commissariamento da parte del Governo si sta avviando ad una nuova fase che dovrà essere gestita e seguita con la massima attenzione. Secondo la Fim Cisl, dal rilancio di questa vertenza passa gran parte della capacità dell’Italia di traghettare il resto dell’industria nella transizione green. Alla luce poi delle tensioni geopolitiche mondiali resta strategico per tutta l’industria italiana un impianto produttivo di acciaio come quello di Taranto. (da Conquiste del Lavoro del 3 luglio 2024) r.z.