Nella giornata di ieri Il Consiglio di Stato del Canton Ticino ha annunciato nuove disposizioni per le attività economiche all’interno della “finestra di crisi” per il periodo dal 20 al 26 aprile. Una scelta che ci preoccupa per gli effetti che determinerà sui flussi del lavoro transfrontaliero in una fase in cui le curve epidemiche delle aree confinanti di Como, Varese e Verbania ed in particolare, del Cantone stesso, non paiono ancora aver superato il punto critico. Una scelta che contraddice le raccomandazioni di una parte importante della comunità scientifica e sembra ignorare le cautele a cui l’OMS invita proprio in queste ore, rispetto alle auspicate ripartenze delle nostre attività. Questi provvedimenti si aggiungono alle deroghe consentite appena dopo Pasqua per alcuni settori minori come la pesca, la selvicultura, il giardinaggio e l’artigianato delle micro imprese che, se pur piccoli, hanno determinato già un incremento fino a 13000 passaggi giornalieri delle dogane rispetto agli 11.000 delle settimane del lockdown precedente.
Le nuove, ultime disposizioni annunciate, stimano le Organizzazioni sindacali svizzere, in particolare attraverso la riapertura dei cantieri e le deroghe possibili per il sistema industriale non ricompreso nelle attività strategiche, in capo alla Stato Maggior Cantonale di Condotta (SMCC), porterebbero quasi al raddoppio dei flussi transfrontalieri senza che vi siano significativi dati di riduzione del contagio. Colpisce e preoccupa in particolare, come questa scelta sembra prescindere da una valutazione dell ’interconnessione delle aree territoriali , tanto in termini di mobilità tra Lombardia, Piemonte e Ticino, quanto di una qualsivoglia iniziativa di coordinamento con gli organismi istituzionali italiani, come se il contagio fosse questione che attiene ai confini di un paese. In tal senso, pur comprendendo che le valutazioni del Consiglio di Stato a Bellinzona siano volte a ricevere il benestare di Berna, siamo preoccupati per la strada intrapresa di una apertura troppo veloce e troppo vasta che sembra abbandonare, in modo prematuro, il principio della specificità regionale della crisi sanitaria a beneficio di una spinta prevalente del sistema delle imprese accolta dal Governo Federale.
Siamo a fianco dei Comuni dei territori di confine che, al contrario, da giorni invitano i Governi Cantonali a ridurre i flussi di lavoratori frontalieri al fine di contrastare la diffusione del contagio, tanto nelle comunità italiane di residenza quanto in quelle svizzere di lavoro. Auspichiamo, unitamente ai sindacati svizzere, che alla scadenza della “finestra di crisi” del 26 aprile non si assumano ulteriori iniziative che non tengano conto della necessità che la ripresa delle attività produttive debba essere più lenta e scaglionata di quanto prevede la nuova Risoluzione Governativa e strettamente connessa alle condizioni epidemiche. Auspichiamo inoltre che si valuti di attuare forme di coordinamento perlomeno interregionali tra le Istituzioni pubbliche delle aree confinanti, che non si limitino tuttavia alla sola organizzazione di apertura e chiusura dei valichi, ma che si occupino del lavoro in sicurezza dei frontalieri italiani, delle loro famiglie e comunità. Intollerabile che i nostri lavoratori siano posti di fronte alla scelta tra mantenimento del lavoro o della salute.
I coordinatori nazionali dei Consigli sindacali interregionali (CSIR-IRTUC-CES) CGIL CISL UIL (Giuseppe Augurusa) (Luca Caretti) (Pancrazio Raimondo)