Cgil, Cisl, Uil, Cisal, Ugl di categoria su Autostrade: “Il budget per la cassa integrazione è limitato. Le autostrade lascino le risorse alle aziende che ne hanno davvero bisogno”
Le dirigenze delle concessionarie autostradali piemontesi hanno annunciato alle Segreterie regionali e alle rispettive R.S.U./R.S.A. la volontà di utilizzare per i lavoratori delle autostrade Satap A4 Torino Milano, Autofiori A6 Torino Savona, Satap A 21 Torino Piacenza e A33 Asti Cuneo la cassa integrazione, “facendo uso” del decreto governativo collegato all’emergenza Coronavirus. Tale intenzione anche in Sitaf A32 (Torino – Frejus) e Ativa A5 (Tangenziale Torino e Torino – Val d’Aosta). Nonostante l’andamento pluriennale dell’utile di bilancio con valori miliardari, le Autostrade piemontesi (Gruppo Gavio, Anas, enti pubblici, altri privati…) vanno alla caccia dei contributi pubblici presentando con estrema celerità la richiesta di CIGO, visto che il budget previsto dal d.l. 18/2020 è limitato, cercando di accaparrarsi l’ammortizzatore sociale, facendo quanto possibile per giungere prima di altre aziende ben più povere, che certamente ne avrebbero più bisogno.
Applicando la mera logica della caduta del flusso veicolare, si sono mossi verso la drastica riduzione del personale in turno e negli uffici, specie gli addetti all’esazione, generando un risparmio delle retribuzioni per milioni ogni mese rispetto alla gestione ordinaria. Tale scelta di togliere personale ai caselli (già attuata a violazione del provvedimento della Struttura di Vigilanza sulle Concessionarie Autostradali presso il MIT adottato il 2 luglio 2014 che dispone testualmente che le Concessionarie “dovranno garantire, in ogni caso, e per l’intero arco delle 24ore, la presenza fisica del personale di esazione in ogni stazione (barriera/casello): tale presenza, laddove ritenuta non necessaria alla singola porta, dovrà essere garantita come «presidio fisico nell’ambito della stazione, in grado di intervenire in caso di necessità per l’utenza ed in aggiunta al controllo e assistenza da remoto»”.
In particolare si precisa come il “presidio delle stazioni autostradali” rientra tra gli obblighi delle convenzioni stipulate a suo tempo dalle varie società, e il suo venir meno incide in maniera determinante sulla qualità e la sicurezza del servizio offerto all’utenza. Aggiungiamo che con la chiusura dei Centri servizi in Piemonte questi erano rimasti solo ad Alessandria Est e a Settimo Torinese (con Rondissone aperto occasionalmente): la mancanza di servizi all’utenza si estende pertanto ai servizi telepass, agli abbonamenti, ai mancati pagamenti e a qualsiasi disservizio degli automatismi che il lavoro agile, da remoto, non sempre può risolvere ed esclude coloro che non hanno accesso o dimestichezza coi servizi informatici.
Nel segnalare ancora una volta queste violazioni delle convenzioni alla SVCA le Organizzazioni. chiedono un intervento urgente al fine di riportare lo status quo ante, con il pieno ripristino del servizio e la tutela dei lavoratori che, nelle stazioni, possono operare da soli in una condizione di tutela sanitaria che può essere resa analoga a quella domiciliare con il pieno rispetto delle prescrizioni del Protocollo condiviso del 14 marzo 2020. Con questo comportamento si realizza una pesante contraddizione: le Autostrade chiedono i soldi allo Stato (cioè ai cittadini) per pagare la CIGO di lavoratori che per obbligo concessorio e vincolo di servizio pubblico dovrebbero lavorare.
Quindi, usano soldi pubblici per eludere un pubblico servizio! Le disposizioni aziendali infatti “desertificano” le stazioni al mero scopo di tagliare il costo del lavoro, gravando sullo Stato con il ricorso alla cassa integrazione, senza preoccuparsi delle ricadute negative in termini di qualità del servizio e di sicurezza, dandosi quale unico obiettivo quello di ottimizzare i profitti. Queste politiche, incentrate sui tagli occupazionali, contrastano palesemente con i piani finanziari presentati dalle società al momento della acquisizione / proroga della concessione, i quali, ogni anno, consentono l’aumento del pedaggio con pesanti ricadute sui cittadini. Senza dimenticare la nota questione delle manutenzioni.
Tutto ciò contrasta con l’indicazione di azienda necessaria al Paese il cui servizio non è interrompibile, giusto l’elenco allegato 1 al dpcm 22 marzo 2020 come integrato dal dm Mise 25 marzo 2020, mentre la parte essenziale del “servizio”, quella all’utenza, viene interrotta! In sovrappiù il Presidente dell’AISCAT, Fabrizio Pallenzona, non contento che si drenino risorse pubbliche con la Cassa, non contento della scelta deliberata di non sostenere il reddito dei “collaboratori dell’impresa” (così dal senso dell’art 2086 del Cod. civ.), si rivolge allo Stato per chiedere «provvedimenti urgenti» per il settore quali «forme di sostegno», quali la «sospensione di imposte, tasse o debito a favore della PA», «moratorie sui canoni concessori», così come «sui rimborsi dei finanziamenti» e la «sospensione degli ammortamenti».
A ciò AISCAT aggiunge che la proposta di «allungare le concessioni» sarebbe «in grado di risolvere una equazione che consta di tre elementi: traffico, tariffe e durata» (cfr. LA NUOVA, 29 marzo 2020, pag. 21). Come dire che non basta fare extra-utili su un bene pubblico, ma questi dovrebbero essere garantiti dall’intervento dello Stato e dalle rinunce dei dipendenti. Come se il diritto al lavoro su cui la Costituzione fonda la Repubblica, per i concessionari diventasse diritto all’utile! Le Organizzazioni sindacali, oltre la denuncia, non hanno altre soluzioni se non prendere tristemente atto di decisioni strettamente collegate a logiche ragioneristiche.
Consapevoli del drammatico momento storico che tutta l’umanità sta vivendo, porranno all’esame congiunto con coscienza e senso realistico la proposta di un piano di utilizzo delle ferie e dei permessi pregressi, oltre le altre provvidenze messe in campo dallo Stato (come il lavoro agile, per coprire questo periodo di emergenza virus. Questa congiuntura emergenziale costituisce la strettoia dove si vagliano le priorità etiche: sembra che nel mondo autostradale, il “dio profitto” sia messo prima dei propri collaboratori e delle loro famiglie! Dopo meno di un mese dall’inizio della diminuzione del traffico in autostrada, i manager autostradali non vogliono perdere tempo per porre in atto il tentativo di recuperare risorse pubbliche, caricando il peso della differenza economica sulla parte più debole, sui dipendenti che in questo frangente non hanno neppure l’arma dello sciopero e non sono in grado di far altro che denunciare l’immoralità di questi fatti. Intanto in alcuni settori i lavoratori non hanno ancora ricevuto alcuni presidi sanitari necessari a contrastare il diffondere del virus, altri si sono comprati autonomamente i guanti per lavorare.
Tra l’altro alcune concessioni piemontesi o facenti capo a società controllanti piemontesi sono scadute (A5, A10, A12 e A21) e sono in corso le gare per l’aggiudicazione. In questo delicato momento per il Paese sotto l’aspetto sanitario, e vista la sicura crisi economica che si presenterà con tutta la sua violenza a partire dai più deboli, sarà sicuramente necessaria una profonda revisione dei meccanismi di affidamento a privati di beni pubblici come la viabilità autostradale. Sarebbe infatti alquanto opportuno, anche fuori dall’ambito della crisi, ripensare le scelte di privatizzazione delle autostrade che hanno consegnato ai privati un monopolio naturale pubblico generatore di extra profitti. Senza lavoro non c’è reddito, senza reddito non ci sono condizioni per sostenere le famiglie, senza legami sociali non c’è neppure più lo Stato.
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