Sanità territoriale e invecchiamento attivo: oggi sono un rimpianto, domani saranno una sfida
In questi giorni si parla con grande interesse di un tema caro al sindacato dei pensionati da molto tempo: la sanità territoriale. Il Presidente della Regione, che la ritiene un requisito fondamentale per accedere alla “Fase 2”, ha spiegato come fin dal suo insediamento avesse trovato un sistema ospedaliero di eccellenza, affiancato però da una medicina territoriale non all’altezza. Un discorso che torna ciclicamente in auge da anni, se non decenni. È un peccato trovarsi a rincorrere una sanità territoriale efficiente nel bel mezzo di un’emergenza senza precedenti. La “deospedalizzazione” (fare sì che le persone trovino una risposta alle loro esigenze sanitarie sul territorio, senza doversi recare in ospedale per ogni problema) è un processo che richiederebbe pianificazione, impegno e tempo: c’è stato qualche tentativo negli ultimi anni, come il rilancio delle Case della Salute, ma la sanità piemontese non è mai riuscita a riconvertirsi completamente. Francescantonio Guidotti, Segretario regionale Fnp Cisl Piemonte, commenta: “Ci vorrebbe un ottimismo senza limiti, che forse sconfina nell’ingenuità, per credere che questa sia davvero la volta buona. Naturale, quindi, vivere questo rimpianto: come abbiamo potuto pensare che il territorio avrebbe potuto rifiorire mentre, al contrario, lo si privava di molte risorse? E non si tratta solo dei tagli alla sanità, ma anche di quelli ai trasferimenti verso i Comuni, responsabili delle politiche socio-assistenziali che dovrebbero agire in sinergia con la sanità”.
Il 22 aprile, poi, è naturale abbandonarsi a un altro rimpianto. Questa data è indicata nella Legge Regionale 17 dell’anno scorso come Giornata Regionale per l’Invecchiamento Attivo. Ora come ora, pensando al dramma che si sta consumando nelle case di riposo e a quante persone stiano combattendo per la sopravvivenza, è ovvio lasciare questo tema in secondo piano.
Osserva ancora Guidotti: “Non dimentichiamoci però che la popolazione italiana è tra le più anziane al mondo, ma troppo spesso l’invecchiamento non avviene in condizioni di salute favorevoli. Sappiamo bene quanto gli effetti del Covid 19 risultino essere particolarmente nefasti per chi soffre già di altre patologie. Invecchiamento attivo è prevenzione: se negli ultimi dieci anni ne avessimo fatta di più, forse ora affronteremmo l’emergenza con una popolazione più sana. Inoltre abbiamo sempre sostenuto che una buona politica di invecchiamento attivo permette a moltissimi anziani di continuare a vivere nelle loro case, assistiti da cure e assistenza domiciliare quando si presenta qualche acciacco”.
Probabilmente se si fosse lavorato in quel senso già in passato, oggi le RSA non sarebbero quelle che conosciamo. Come avvenuto in altri Paesi, ci saremmo spostati verso modelli residenziali per anziani più a misura di persona, con meno ospiti e spazi gestiti in modo diverso. Forse adesso le RSA non sarebbero il principale focolaio del Coronavirus nella nostra Regione.
Come sostiene Giorgio Bizzarri, Segretario Generale Fnp Cisl Torino e Canavese: “Una prevenzione efficace avrebbe dovuto diffondere le buone pratiche: tamponi a ospiti e personale, protezione degli ospiti da contagi esterni, isolamento e rapidità nelle cure per i positivi.” Dove si è operato in questo modo gli effetti sono evidenti: nella struttura di Torino intitolata a Valletta e in altre RSA della provincia c’è stata una precisa attività preventiva e autonomamente ci si è dotati dei mezzi di protezione. Risultato? Non si contano né decessi né contagi. Grande importanza è stata data anche al lato umano, garantendo il rapporto con i familiari attraverso tablet e videochiamate e fornendo informazioni tempestive sulla salute dei pazienti. Continua Bizzarri: “Non dimentichiamoci poi del personale sanitario: ad Agliè, altro caso di assenza di contagi, gli operatori sono arrivati al punto di decidere di rinchiudersi nella struttura giorno e notte per evitare contaminazioni, ma non ci si può affidare sempre alla sola buona volontà del personale. La prevenzione è soprattutto territorio: medici di famiglia, case della salute presenti e operanti vicino al luogo di abitazione, servizi accessibili, tutto ciò che è mancato per filtrare e riconoscere i sintomi dal loro primo manifestarsi.”
E sulla notizia che circola da giorni secondo cui le autorità sarebbero intenzionate a prolungare il divieto di uscita per gli over 65? Guidotti e Bizzarri rispondono insieme: “Siamo decisamente contrari. Vi sarebbero conseguenze pesantemente negative per la solitudine e per la salute psicofisica di una parte consistente della popolazione. Questa idea è figlia di una visione degli anziani che li considera del tutto inutili alla società, tanto che, lasciandoli in isolamento, non ci sarebbero conseguenze vivere quotidiano.
Nulla di più sbagliato, basti pensare all’appoggio quotidiano dei nonni nella gestione di figli e nipoti o all’attività di volontariato svolta per portare aiuto e conforto a parenti e amici più vecchi che non hanno la possibilità fisica di muoversi.
Insomma, sanità territoriale e invecchiamento attivo sono due grandissimi rimpianti. Oggi, però, bisogna concentrarsi sul presente e cercare di offrire soluzioni a chi è nel bisogno. Ma il rimpianto di oggi è la sfida di domani: quando l’emergenza sarà superata, dovremo impedire che questi temi cadano nel dimenticatoio, come in passato troppo spesso è avvenuto.
Paolo Arnolfo
Categoria: Attualità, Emergenza COVID-19, Sanità