Pensioni: il covid farà risparmiare dodici miliardi in 10 anni
La pandemia da Covid-19 sta presentando il suo conto che possiamo definire duplice: da un lato la pericolosità della malattia con i suoi decessi che attualmente sono più di 150mila, dal lato opposto una contrazione della spesa pensionistica, visto che in larga parte i deceduti sono persone con più di 60 anni, quindi in maggioranza pensionati, la conseguenza è una parziale riduzione della spesa pensionistica. Poco più di un miliardo di euro, per l’esattezza 1 miliardo e cento milioni è quanto si è risparmiato nel 2020. Questo e altri dati sono stati recentemente forniti dall’ultimo rapporto sul bilancio del sistema pensionistico italiano a cura di Itinerari previdenziali: sono state eliminate 79.318 pensioni nel primo anno di pandemia (2020), gli effetti saranno ancora più evidenti fra un anno, quanto verrà calcolato anche il 2021. Quindi solo con quanto risparmiato del 2020, nel decennio successivo (2020-2029) si arriverà ad un totale di 11,9miliardi, rendendo più sostenibile la spesa per le pensioni, rispetto a quanto previsto prima del Covid. In merito lo studio di Itinerari previdenziali ha precisato che il rapporto tra spesa pensioni/Pil dovrebbe ridursi dal 14,27% del 2020 al 13,19 del 2021, in miglioramento fino al 12,8% nel 2024, un valore il linea con la media Eurostat. Questi dati non considerano la spesa per le prestazioni assistenziali, le cosidette pensioni Gias (Gestione interventi assistenziali). In ogni caso pensiamo sia opportuno evidenziare che si tratta di un risparmio che porta con se molto dolore. Sempre in materia di pensioni lunedì 14 febbraio Governo e Sindacati si sono incontrati per cercare di definire una completa riforma del sistema pensionistico con particolare riguardo alla flessibilità in uscita dal lavoro, e una maggiore possibilità di accesso alla pensione per le categorie più deboli , come ad esempio le donne, per chi svolge lavori usuranti, per gli invalidi e per i giovani. L’accordo per il momento è ancora lontano. Seguiranno ulteriori incontri. In breve indichiamo che cosa si sono detti le parti sociali evidenziando che l’unico accordo l’hanno trovato sul fatto che è possibile iniziare a parlare di flessibilità in uscita dal lavoro. Per come costruire le flessibilità e tutto il resto della riforma le parti sono ancora lontane. Vediamo, in breve le singole proposte: Sindacati: possibilità di pensionamento a partire da 62 anni di età con 41 anni di contributi senza penalizzazioni per chi ha iniziato a lavorare prima del 1996 (calcolo retributivo); modifica del meccanismo di adeguamento alla speranza di vita; condizioni più favorevoli per le donne, per chi svolge lavori gravosi e usuranti e per i giovani; Governo: In pensione prima dei 67 anni di età è possibile ma con il calcolo della pensione interamente con il sistema contributivo (meno favorevole rispetto al retributivo) e con almeno 64 anni di età. Oppure riduzione proporzionale in base agli anni di anticipo ripetto ai 67 anni. Inps: il presidente dell’Inps Tridico sponsorizza l’idea di calcolare la pensione, per chi lascia il lavoro dal 64° anno in poi, con il calcolo contributivo (vedi opzione donna) e di ricalcolarla in modo completo (retributivo e contributivo) al compimento dei 67 anni di età. Si sta parlando molto di mettere in piedi una pensione per i giovani senza arrivare, per il momento ad alcuna soluzione. Noi pensiamo che un inizio di soluzione potrebbe essere di ripristinare una nuova forma di trattamento minimo (soppresso con il contributivo), che se ben programmato e opportunamente sostenuto finanziariamente, sarebbe una garanzia per una futura pensione per le giovani generazioni.
Angelo Vivenza
Categoria: Attualità