Pensione contributiva: è troppo penalizzante
La pensione contributiva spetta a coloro il cui primo contributo è stato versato dal 1° gennaio 1996 in poi. Si tratta di una pensione con normative diverse rispetto alle pensioni esistenti in precedenza. Istituita dalla riforma Dini nel 1995 la pensione contributiva aveva come scopo principale quello di contenere e rendere sostenibile la spesa pensionistica. Per effetto della sua, relativa, giovane età attualmente interessa un numero non elevato di lavoratori, ma con il tempo sarà, salvo variazioni legislative, l’unica pensione esistente. Rispetto alle precedenti pensioni, questa si differenzia particolarmente per:
1) il sistema di calcolo;
2) l’ istituzione dell’importo-soglia;
3) la mancanza del trattamento minimo.
Tutte norme, che penalizzano i lavoratori, particolarmente coloro la cui vita lavorativa ha riservato basse retribuzioni. Vediamo la diversità delle norme esistenti:
A) pensione di vecchiaia “ retributiva”: attualmente 67 anni di età e almeno 20 anni di contributi. Il calcolo è retributivo e prevede integrazione al minimo (reddito permettendo);
B) pensione di vecchiaia “contributiva”: con 67 anni di età e almeno 20 anni di contributi, ma non sono sufficienti se non si sono versati contributi per un importo di pensione non inferiore a 755 euro al mese per 13 mensilità. ( importo-soglia). Non avendo versato l’importo-soglia non è possibile percepire la pensione prima del compimento del 71° anno di età. Da questa età verrà corrisposto quanto versato a condizione, che vi siano almeno 5 anni di contribuzione effettiva. Questa pensione non prevede l’integrazione al minimo.
Il calcolo contributivo, rispetto al retributivo, non prende a riferimento le ultime retribuzioni ma tutta le contribuzione versata nella vita lavorativa. Di conseguenza è meno vantaggioso rispetto al calcolo retributivo ma più logico rendendo quindi più sostenibile la spesa pensionistica. Riguarda tutti i lavoratori a partire dal 1° gennaio 2012. Le altre due normative, non riguardano tutti i lavoratori, ma sono particolarmente penalizzanti. Con 20 anni di contributi, o poco più, l’importo difficilmente è superiore all’importo- soglia, quindi l’età per la pensione salirà oltre i 67 anni. Andare in pensione, con un importo insignificante, in quanto non è prevista la possibilità di ottenere un importo minimo è veramente eccessivo.
La situazione attuale è un impedimento alla percezione di una pensione dignitosa per quei lavoratori, principalmente donne, che hanno avuto una vita lavorativa fatta di lavori saltuari oppure basse retribuzioni come i contratti a part-time. La soluzione che auspica il sindacato è quella di una riforma che preveda l’eliminazione dell’importo- soglia con la conseguente possibilità di ottenere l’integrazione al trattamento minimo.
Attualmente il lavoro, particolarmente per i giovani e per le donne è sempre più saltuario e con basse retribuzioni. Questo fatto va tenuto presente anche in prospettiva pensionistica. Sta alla politica e alle parti sociali valutare la possibilità di istituire delle norme che permettano, a questi soggetti, di ottenere, a determinate condizioni una maggior copertura contributiva.