Maggiorazione della retribuzione individuale di anzianità (RIA) per i pubblici dipendenti
In questi giorni sui mezzi di informazione, i social e sul web si è dato molto risalto alla sentenza n. 4 emessa dalla Corte Costituzionale, con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 51, comma 3, della L. 23 dicembre 2000, n. 388.
Si legge ovunque che l’esito di tale pronuncia andrebbe a vantaggio di ogni lavoratore, o pensionato, a cui non sia stata riconosciuta l’anzianità di servizio maturata nel triennio 1991-1993, al fine di ottenere la maggiorazione della RIA (retribuzione individuale di anzianità).
Lo scorso 5 febbraio vi abbiamo inviato una prima comunicazione (n. 57) con la quale vi fornivamo le prime indicazioni.
A questo punto, a seguito della ricezione del parere richiesto alla nostra consulenza legale, chiariamo i termini della questione per non creare aspettative che potrebbero essere deluse in merito agli effetti e alle conseguenze della sentenza di incostituzionalità.
In particolare, ci sembra opportuno ricostruire, innanzitutto, il quadro normativo sul quale è intervenuta la Corte Costituzionale.
L’istituto della RIA era stato disciplinato dal D.P.R. n. 44 del 1990, con il quale sono state riconosciute alcune maggiorazioni della RIA in favore del personale che, alla data del 1° gennaio 1990, avesse acquisito esperienza professionale con almeno cinque, dieci o venti anni di effettivo servizio nell’arco della vigenza contrattuale (1988-1990).
Successivamente, l’art. 7, comma 1, del DL n. 384 del 1992 ha prorogato al triennio 1991-1993 l’efficacia dell’intero D.P.R. n. 44 del 1990, la cui scadenza originaria era fissata al 31 dicembre 1990.
Tuttavia, l’art. 51, co. 3 della legge Finanziaria 388/2000 ha limitato i benefici della maggiorazione a quelle anzianità maturate entro il 31.12.1990 e da ciò ne scaturirono procedimenti giudiziali per il riconoscimento della maggiorazione RIA per i lavoratori che avevano maturato l’anzianità nel triennio 1991/1993.
La Corte Costituzionale, con la sentenza in esame, nel dichiararne l’illegittimità, ha ritenuto che tale disposizione avesse introdotto una norma innovativa con effetto retroattivo, specificamente per influire su giudizi pendenti in cui la stessa pubblica amministrazione era parte e in assenza di ragioni imperative di interesse generale.
A questo punto, occorre domandarci quale effetto produca la sentenza della Corte Costituzionale.
Ovviamente, l’effetto immediato è quello di ritenere legittime le richieste di maggiorazione della RIA per coloro che avevano maturato una anzianità di effettivo servizio di cinque, dieci o venti anni anche nel periodo 1991-1993.
Si ritiene, invece, che non tutta la potenziale platea dei lavoratori (o ex dipendenti attualmente in pensione) interessati alla pronuncia della Corte possano esercitare, oggi, il diritto ad ottenere la maggiorazione della RIA, dovendo considerare che il decorso del tempo dal 1991-1993 può aver influito sull’esercizio del diritto medesimo.
Il fattore “tempo”, infatti, assume particolare rilevanza nell’ambito dell’ordinamento giuridico in generale, dando luogo all’acquisto o all’estinzione di un diritto per effetto dell’istituto della prescrizione.
Di recente, in tema di prescrizione, la Corte di Cassazione a Sezioni Riunite, il 28 dicembre 2023, con la sentenza n. 36197, ha chiarito, in particolare, che nel pubblico impiego, la prescrizione decorre sempre in costanza di rapporto di lavoro (e ciò all’opposto di quanto avviene per il settore privato).
Quanto sopra detto, significa che noi dobbiamo tenere presenti due casi in cui la “illegittimità” riconosciuta dalla Corte con la sentenza 4/2024, comporterà un concreto beneficio per i nostri pensionati:
1) potrà beneficiare della decisione della Corte chi abbia interrotto la prescrizione quinquennale ogni volta prima della scadenza della medesima e reiterandola periodicamente prima dello scadere del quinquennio (quindi la prima comunicazione di interruzione della prescrizione doveva avvenire entro e non oltre il 31/12/1998, la seconda entro e non oltre il 31/12/2003 e così via…);
2) altresì, potrà beneficiare della decisione della Corte chi abbia proposto un ricorso contro la negazione della maggiorazione Ria e tale giudizio sia stato sospeso in attesa di conoscere il pronunciamento della Corte Costituzionale sulla legittimità della norma, oppure chi abbia un giudizio in qualunque grado ancora non definito, oppure se dal deposito della sentenza non siano trascorsi più di 6 mesi e quindi la stessa non sia passata in giudicato.
Ne consegue, dunque, che chi non abbia mai agito davanti a un’autorità giudiziaria, pur avendo maturato i requisiti, si veda preclusa la possibilità di agire oggi, in quanto la prescrizione è decorsa già nel lontano 1999, con effetti che si riflettono non solo sulla mancata maggiorazione RIA, ma anche sul T.F.S./T.F.R. e sulla pensione, che non potranno beneficiare di alcun incremento automatico da parte delle varie Amministrazioni.
Purtuttavia, senza enfatizzare gli effetti della sentenza, non potendo prevedere, allo stato attuale, se la stessa troverà una sponda in futuri interventi normativi o l’interessamento dell’attuale Governo, riteniamo di suggerire ai nostri iscritti di presentare comunque l’istanza per il riconoscimento del beneficio maturato, il cui fac-simile vi alleghiamo nuovamente.
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