Le pensioni per il 2023: che pasticcio!
Sulle pensioni il Governo sta pasticciando, contraddicendosi ed apportando delle variazioni su quanto a suo tempo concordato con le organizzazioni sindacali, ad iniziare dalla penalizzazione della perequazione per il 2023, al limite dell’ importo previsto per quota 103, opzione donna con l’innalzamento dell’età, poi, come se non bastasse, la riduzione delle aventi diritto, infine la pensione minima che non arriva a 600 euro al mese come promesso. Vediamo in modo più dettagliato i provvedimenti in questione:
1) Con un apposito decreto, il Ministro dell’Economia aveva stabilito che le pensioni, a partire da gennaio 2023, fossero aumentate del 7,3% per la perequazione 2023, disponendone l’applicazione su tre a scaglioni: il 100% fino a 2.102 euro lordi al mese; il 90% tra i 2.102 e i 2.627 euro, il 75% oltre i 2.627 euro. Invece, il testo della legge di Bilancio prevede di scaglionare, quindi ridurre, la percentuale del 7,3% in ben sei fasce che vanno: dal 100% fino a 2.102 euro lordi al mese per scendere fino ad arrivare al 35%. Inoltre vi è un’ulteriore riduzione in quanto la percentuale ridotta viene applicata, in modo secco, sul totale della pensione, mentre il decreto prevedeva il 100% su
tutte le pensioni e la riduzione operava solo quando si superava i 2.1.02 euro. Una doppia riduzione non indifferente che porterà ripercussioni anche sugli importi futuri. Ad esempio: una pensione di 2.500 euro lordi (meno di 2.000 nette) avrà una riduzione di 40 euro al mese pari a 516 euro all’anno.
2) Quota 103: da gennaio sostituirà quota 102, in un primo tempo non conteneva delle limitazioni. Ora stando alla legge di Bilancio l’importo massimo che verrà messo in pagamento non potrà superare i 2.627 euro lordi al mese, fino al momento del raggiungimento dei 67 anni di età o al diritto alla pensione anticipata (42/43 anni di contributi). Quindi i 41 anni di contributi vengono tutti utilizzati per raggiungere il diritto alla pensione, mentre per l’importo se ne possono utilizzare meno di quanto versato. E’ difficile comprendere come questo sia possibile.
3) opzione donna: attualmente si percepisce con 35 anni di contributi e con 58 anni di età se dipendente oppure 59 se autonoma. La legge di Bilancio 2023 prevede che l’età sia aumentata a 60 anni per tutte, scendendo a 59 avendo un figlio, a 58 con due figli, inoltre dal prossimo anno non tutte le donne ne avranno diritto, in quanto bisognerà appartenere a tre distinte categorie: 1) Invalide almeno al 74%; 2) dare assistenza a familiari inabili; 3) essere licenziate o dipendenti da aziende in crisi. Una notevole riduzione delle aventi diritto.
4) trattamento minimo: in un primo tempo era stato annunciato un aumento del 120% in modo che l’importo arrivasse a 600 euro al mese (conferenza stampa della premier). La presidente del Consiglio si è dimenticata di precisare che da gennaio 2023, erano già previsti 38 euro al mese di perequazione. Di conseguenza il 120% porta solo ad un aumento di 7,40 euro al mese, per un totale di 570,78 euro al mese. (minimo 2022 pari è a 525,38). Che non è esattamente quanto promesso.
Anche se la differenza non è grande, per chi ha poco, 30 euro al mese non sono pochi. Queste contraddizioni riducono sensibilmente quanto concordato ed in un primo tempo stabilito, quindi non sono e non saranno facilmente sopportabili dai pensionati i quali confidano in una decisa presa di posizione delle organizzazioni sindacali in vista della discussione che ci sarà in Parlamento.
Angelo Vivenza
Categoria: Fisco e previdenza, Focus