I costi della violenza
La Convenzione di Istanbul (2011), è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che propone un quadro normativo completo e integrato a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza. Interviene specificamente nell’ambito della violenza domestica, che non colpisce solo le donne ma anche altri soggetti, ad esempio bambini ed anziani, per i quali si applicano le medesime norme di tutela. La sua struttura è basata sulle “tre P”: Prevenzione, Protezione e sostegno delle vittime, Perseguimento dei colpevoli. A queste viene aggiunta una quarta “P”, quella delle politiche integrate, allo scopo di agire efficacemente su un fenomeno caratterizzato da grande complessità, da molteplici determinanti e di difficile misurazione.
Nonostante la Convenzione sia stata ratificata dall’Italia nel 2013, nel nostro Paese, tuttora si registrano ancora una diffusione e un livello di gravità della violenza, inaccettabili. Un quadro complessivo è emerso soltanto a partire dai dati dell’indagine ISTAT (2014). Il fenomeno rappresenta un fattore di criticità urgente, poiché mina la salute e la personalità delle donne, limita le libertà personali, ha ricadute sui minori coinvolti, anche indirettamente, con conseguenze gravi per la qualità della vita e per i modelli identitari delle future generazioni che rischiano di riprodurre e perpetuare il ciclo della violenza, influenza inoltre la sicurezza collettiva e condiziona la crescita del capitale umano oltre che del sistema economico e sociale nel sul complesso.
Una particolare attenzione deve essere posta sui costi economici complessivi che la violenza comporta non solo per le vittime ma per l’intera società. Una ricerca del Centro Studi INTERVITA ONLUS, del 2013, ha quantificato il costo gravante sulle vittime e sulla società italiana in circa 17 miliardi all’anno. Le principali voci sono rappresentate dai 460,4 milioni dei costi sanitari, che includono il costo complessivo dei ricoveri al pronto soccorso e delle cure successive. I costi per l’assistenza psicologica delle vittime sono stati stimati in 158,7 milioni mentre le spese legali in 289,9 milioni. L’impegno delle Forze dell’Ordine nel gestire i casi della violenza contro le donne, dalle denunce alle investigazioni fino alla trasmissione del fascicolo all’Autorità Giudiziaria, ammonta a 235,7 milioni ed i costi sostenuti dall’Ordinamento Giudiziario per la gestione delle denunce di violenza contro le donne è di 421,3 milioni. Tale importo include i tre gradi di Giudizio, tutte le attività ad essi connesse e il costo per la detenzione. I costi sostenuti dai Comuni per assistenza sociale alle vittime e ai lori figli è valutato in 154,6 milioni e riguarda soprattutto il costo del servizio di assistenza sociale. Il costo dei Centri Antiviolenza è stato calcolato in 7,8 milioni. Il costo non monetario della violenza contro le donne è stato poi stimato in 14,3 miliardi, stima che propone una valutazione oggettiva del costo umano e di sofferenza tenendo conto delle conseguenze esistenziali future patite dalle donne in termini di danni fisici, morali e biologici.
Ci sono poi i costi per la mancata produttività che subisce il sistema a causa della violenza contro le donne: un ammontare di 604,1 milioni. Tale importo comprende una serie di costi per le imprese dovuti alle assenze, alla minore produttività lavorativa e al costo di sostituzione.
Ma i dati sulla violenza di genere in Europa, elaborati e raccolti dall’EIGE – Istituto Europeo Per L’uguaglianza di Genere presentati nell’ottobre 2018 sono ancora più allarmanti: il costo sociale della violenza, nel nostro Paese, è lievitato a 26 miliardi di euro l’anno. Si registra, tuttavia, in maniera evidente una dimensione dei costi economici e sociali che è strettamente interconnessa con la dimensione sommersa del fenomeno stesso. È necessario conoscere dunque il numero delle donne che subiscono violenza, ma anche la gravità di quanto hanno subito, le conseguenze sulla loro vita nonché il ruolo delle istituzioni nella tutela e cura e nella prevenzione. Ed è necessario avere il coraggio di imporre subito all’attenzione dell’opinione pubblica più vasta e dei politici, il calcolo dei costi sociali ed economici della violenza. I numeri infatti possono finalmente alzare un muro contro chi nega che in Italia il femminicidio sia un problema strutturale e non un’emergenza occasionale e perché i numeri possono offrire una base solida a strategie più efficaci.
Queste informazioni, sollecitano il superamento di un certo atteggiamento “compassionevole” verso le donne che subiscono violenza e stimolano le istituzioni e le aziende a valutare il beneficio diretto che avranno dalle politiche di prevenzione e di contrasto attuate. La valutazione di tipo economico e sociale aiuta a far emergere con chiarezza le numerose dimensioni sommerse di questo fenomeno, offrendo anche degli spunti utili a elaborare soluzioni fattive per contribuire alla sua riduzione e contenimento. È perciò fondamentale che la violenza contro le donne venga descritta e rappresentata non solo nella sua drammaticità umana, ma anche nella sua dimensione quantitativa, che sappia misurare quante donne sono effettivamente vittime, quali siano le conseguenze sulla loro vita e sulla collettività.
L’analisi dei costi economici sostiene che la violenza ha un impatto sulla società nel suo complesso e perciò, non è più possibile accettare che sia considerata un problema “privato”, bensì richiama una presa di coscienza e un’assunzione di responsabilità generalizzate. La violenza basata sul genere è un fenomeno sociale strutturale che ha radici culturali profonde, riconducibili a una organizzazione patriarcale della società che ancora oggi permea le pratiche e la vita quotidiana di milioni di uomini e donne in Italia. Questi numeri da soli raccontano il bisogno di un cambiamento culturale che deve coinvolgere l’Italia intera. Ma questo cambiamento è impossibile se non s’ inizia, come prima cosa, a studiare e conoscere a fondo il fenomeno, a riflettere e ricostruire, ad avere idee e promuovere azioni, a pensare insieme un vivere migliore.
Ed è con questa convinzione che, in occasione della ricorrenza del 25 novembre, il Coordinamento delle Politiche di Genere della FNP Piemonte ha organizzato numerosi e diversificati eventi su tutto in territorio regionale: eventi costruiti in rete, in primis con la Cisl ma anche con le altre Organizzazioni sindacali, le associazioni, le istituzioni e soprattutto con le scuole, un canale intergenerazionale attraverso cui veicolare strumenti utili alla formazione di modelli relazionali civili, consapevoli, umani.
Promuovere e rafforzare sistematicamente la sensibilizzazione e la formazione, fare prevenzione e mettere in rete la varietà di istituzioni oltre che mettere in campo risorse materiali e finanziamenti stabili, rappresenta l’unico modo per innescare il cambiamento culturale di cui abbiamo bisogno.
Franca Biestro (18/11/2019)
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