Cantiere previdenza: pensioni anticipate e ricambio generazionale
A dicembre 2021 si concluderà l’esperienza della pensione anticipata denominata quota 100. Per poterla ottenere occorre avere almeno 62 anni di età e 38 anni di contributi. Stando ai numeri, comunicati recentemente dall’Inps, ci si attendeva un maggior numero di adesioni. Il totale delle pensioni concesse al 31 marzo scorso è stato di 286.000. Inoltre sembra che questa pensione non abbia favorito l’occupazione giovanile come auspicato.
Ora quota 100 deve essere sostituita da altre forme di pensionamento ad alto contenuto di flessibilità. Le future soluzioni andranno concordate con le Organizzazioni Sindacali: cosa che non è successa con quota 100. Uno “scalone” di 5 anni, a partire dal 2022, non è accettabile
Prima dell’età per la pensione di vecchiaia: 67 anni, la legislazione attuale già prevede diversi tipi di pensionamento anticipato: 1) a qualsiasi età con 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, un anno in meno per le donne; 2) a qualsiasi età con 41 anni di contributi e con lavori gravosi per i precoci (1 anno di contributi prima dei 19 anni); 3) con 63 anni di età e particolari lavori, per l’Ape sociale; 4) con diverse età a partire da 61 anni di età e 35 anni di contributi, per chi svolge lavori usuranti; 5) con 58 anni, 59 per le autonome e 35 anni di contributi per l’opzione donna. Tutte pensioni gestite dall’Inps, quindi a carico del sistema pubblico. Tutte soluzione che oltre a soddisfare le esigenze dei lavoratori in molti casi aiutano le aziende, senza costi aggiuntivi. Non sembri un’utopia, ma non sarebbe il caso che in alcune situazioni particolari sia giunto il momento che i datori di lavoro, secondo le loro possibilità e i propri interessi, concorrano finanziariamente ad agevolare forme di prepensionamento in modo da favorire il tanto richiesto ricambio generazionale? Già attualmente molte grandi aziende provvedono, al loro interno ad attivare il “ welfare aziendale” a sostegno del reddito dei propri lavoratori (asili nido, tasse universitarie, contributi per libri scolastici, sostegni per figli disabili,ecc.). Perché, chi ne ha la possibilità finanziaria, non debba provvedere anche allo sviluppo di forme di prepensionamento, in concorso con la previdenza pubblica?
La riforma Fornero ha istituito, già dal 2011, la possibilità di una forma di pensionamento anticipato chiamato “Isopensione”. Originariamente era prevista solo per le aziende con oltre 1000 dipendenti, ora la possono applicare tutte le aziende con almeno 15 dipendenti. Prevede la possibilità di ottenere la pensione già maturata 7 anni prima del diritto alla pensione di vecchiaia o di quella anticipata. Inoltre la legge di Bilancio 2019 ha istituito, per le aziende con più di 250 dipendenti, il ”contratto di espansione” che, tra altre normative prevede la possibilità di pensionamento almeno 5 anni prima della pensione effettiva. Per entrambi i prepensionamenti le norme di applicazione vanno concordate con le Organizzazioni Sindacali, in quanto le aziende devono essere in fase di ristrutturazione. La spesa per questi due prepensionamenti è in larga parte, ma non totalmente a carico del datore di lavoro (viene scalata l’indennità di disoccupazione). E’ sicuramente questo il principale motivo per cui finora non ha avuto successo. Se possibile le aziende private, in salute economica, devono prendere come esempio il Fondo Esuberi esistente tra varie banche. Fondo che ha agevolato la messa in prepensionamento di molti dipendenti bancari, avviando un vero ricambio generazionale. E’ auspicabile che in futuro non debba sempre essere la finanza pubblica a dover intervenire in situazioni di disagio occupazionale e di riflesso agevolare delle situazioni che a volte favoriscono anche le aziende. Un concorso finanziario del privato è più che auspicabile.
Angelo Vivenza
Categoria: Attualità, Fisco e previdenza